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Pound e la compiutezza dei due uccelli su un ramo di Barbara Proni

Solo una nota nella sinfonia poundiana dei Cantos.
Una nota che si libra alta sul poderoso contesto, sul contrappunto di rimandi a tratti inestricabili di cui è parte, e risuona limpida della sua peculiare vibrazione.
Una nota che un pensiero assolutamente soggettivo e sensoriale sposa idealmente a un’immagine.

Due uccelli, compagni inseparabili, sono posati sullo stesso albero: uno ne assapora i dolci frutti e l’altro osserva senza mangiare.

Rig Veda (I. 164. 20)

La rappresentazione simbolica, nella cultura indiana, della delicata e sottile relazione intercorrente tra Coscienza (Purusha) e Natura (Prakriti), tra azione materiale e non-azione contemplativa che, composte inscindibilmente, rendono compiuto l’essere umano, naturale e consapevole il suo agire, e conforme al Principio. Unità duplice, riflesso di un ordine superiore che regge e muove l’intero universo, permeandolo di sé: pieno-vuoto, silenzio-suono, movimento-stasi, permanenza-caducità… Il ritmo di un immenso, costante respiro che tutto collega al tutto con infiniti, invisibili fili nell’eterna danza il cui nome potrebbe essere Amore.

*

 

Quello che veramente ami rimane,
                                                              il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro,
                                                              o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
         Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami è la tua vera eredità

                                              Ezra Pound - dal Canto LXXXI, Canti Pisani

 

 

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ZEN E INCUDINE di Barbara Proni

Con le Poesie di Svendborg del 1939, di cui questo testo fa parte, composte durante il quasi ventennale esilio, Brecht, comunista dal 1930, condanna ferocemente l'insensatezza della storia e le aberrazioni perpetrate dal nazismo. La parabola di Buddha sulla casa in fiamme, come un koan oscura e semplice al tempo stesso, riporta alla mente il piccolo racconto zen che narra di un saggio che indicava la luna con un dito, e lo stolto si soffermò a guardare il dito stesso senza scorgere la luna... Confusione di fine e mezzi. Le tracce lasciate dai maestri (veri o falsi) non sono che testimonianza, non la Via. Le risposte (ammesso che ve ne siano) sono prima delle domande e prescindono da esse, e i fatti superano le idee. C'è poco da dire e poco da capire, la realtà è, e i pensieri che con fragili lacci tentano di racchiuderla finiscono per legare le sole menti. Che si abbia il coraggio di accoglierla in verità, nuda, bella e terribile, di lasciarsi andare alla sua comprensione, facendosi piccoli per essere grandi, facendosi ignoranti per arrivare alla conoscenza immediata. Per poi, svegli, totalmente calati in essa, qui e ora, agire in autonomia di coscienza, seguendo solo urgentemente Necessità, cuore e (ora sì che sono chiamate in gioco!) le proprie idee.

LA PARABOLA DI BUDDHA SULLA CASA IN FIAMME

Gotama, il Buddha, insegnava
la dottrina della Ruota dei Desideri, cui siamo legati, e ammoniva
di spogliarsi d'ogni passione e così
senza brame entrare nel nulla, che chiamava Nirvana.
Un giorno allora i suoi discepoli gli chiesero:
"Com'è questo Nulla, Maestro? Noi tutti vorremmo
liberarci da ogni passione, come ammonisci; ma spiegaci
se questo Nulla in cui noi entreremo
è qualcosa di simile a quella unità col creato
di quando si è immersi nell'acqua, al meriggio, col corpo leggero
quasi senza pensiero, pigri nell'acqua; o quando nel sonno si cade
sapendo appena di avvolgersi nella coperta
e subito affondando; se questo Nulla dunque
è così, lieto, un buon Nulla, o se invece quel tuo
Nulla è soltanto un nulla, vuoto, freddo, senza significato".
A lungo tacque il Buddha, poi disse con indifferenza:
"Non c'è, alla vostra domanda, nessuna risposta".
Ma a sera, quando furono partiti,
sedette ancora sotto l'albero del pane il Buddha e disse agli altri,
a coloro che nulla avevano chiesto, questa parabola:
"Non molto tempo fa vidi una casa. Bruciava. Il tetto
era lambito dalle fiamme. Mi avvicinai e m'avvidi
che c'era ancora gente, là dentro. Dalla soglia
li chiamai, ché ardeva il tetto, incitandoli
a uscire, e presto. Ma quelli
parevano non aver fretta. Uno mi chiese,
mentre la vampa già gli strinava le sopracciglia,
che tempo facesse, se non piovesse per caso,
se non tirasse vento, se un'altra casa ci fosse,
e così via. Senza dare risposta
uscii di là. Quella gente, pensai,
deve bruciare prima di smettere con le domande. Amici, davvero,
a chi sotto i piedi la terra non gli brucia al punto che paia
meglio qualunque cosa piuttosto che rimanere, a colui
io non ho nulla da dire". Così Gotama, il Buddha.
Ma anche noi, che non più ci occupiamo dell'arte della pazienza
ma piuttosto dell'arte dell'impazienza, noi che tante proposte
di natura terrena formuliamo, gli uomini scongiurando
a scuoter da sé i propri carnefici dal viso d'uomo, pensiamo che a quanti,
di fronte ai bombardieri del capitale, già in volo, domandano
e troppo a lungo, che ne pensiamo, come immaginiamo il futuro,
e che ne sarà dei loro salvadanai e calzoni della domenica, dopo tanto
sconvolgimento,
noi non molto abbiamo da dire.


Bertolt Brecht (da Poesie di Svendborg)

 

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